L’importanza del ‘tempo di vita’
Siamo abituati a dividere il tempo in tempo lavorativo e tempo libero, ma dobbiamo cominciare a dirci che il tempo libero non è solo quello in cui non si produce, in cui non si è utili, non si è produttivi, bensì è quello in cui possiamo e dobbiamo vivere, amare, non fare nulla, cantare, leggere, ascoltare musica, divertirci, bere un bicchiere con gli amici, fare l’amore, andare al cinema o al teatro. Questo è il tempo in cui possiamo essere totalmente umani, mentre ci convincono quotidianamente che dobbiamo produrre sempre di più, ma così stiamo consumando il pianeta e le risorse che non sono infinite. Forse dobbiamo produrre meglio, non di più, e per farlo possiamo dirci che dovremmo lavorare meno, per riprenderci un tempo di vita che ci togliamo quotidianamente correndo da una parte all’altra a inseguire cose utili da fare, che non sempre sono né utili né tanto meno piacevoli? Lavorando meno e facendoci trascinare meno nella corsa alle attività, allo shopping per chi se lo può permettere forse potremo lavorare più umanamente e auto-determinarci il nostro tempo magari per riuscire ad offrirlo anche agli altri: stiamo diventando avidi anche di tempo, perché non ne abbiamo mai abbastanza nemmeno per noi.
Per fare questo però dobbiamo cambiare paradigma: dobbiamo smetterla di mercificare la nostra esistenza e in questi ultimi trent’anni l’abbiamo fatto fino a mettere sul mercato persino la sanità e la scuola che, aziendalizzate, sono pregne di misurazioni delle prestazioni in termini quantitativi e monetari e hanno dimenticato di essere i luoghi per antonomasia in cui (in uno stato di diritto) investire e basta: il benessere, infatti, non si può misurare con il numero di iscritti alla mia scuola o con il bilancio in attivo di un’azienda ospedaliera, bensì con il grado di felicità che i cittadini che beneficiano di quelle cure, di quella didattica e umanità possono raggiungere per crescere sereni e sicuri di essere stati visti, di essere stati ascoltati, di essere stati indirizzati e curati.
La salute e la cultura dialogano strettamente tra loro e il “tempo” che questo modello di sviluppo ci sta togliendo ha moltissimo a che fare con questo dialogo. Registriamo la nostra difficoltà a rimettere al centro il tempo che abbiamo a disposizione per vivere in modo pieno la nostra esistenza: studiare significa dedicare del tempo a curare il pensiero e le parole con cui agire, interpretare e poi raccontare quel che succede qui e nel mondo, ma studiare significa anche trovare soluzioni per i problemi delle persone e poi prendersi cura delle stesse. Se però dopo non abbiamo mai tempo per dare corpo alla cura della vita fuori dalla scuola, fuori dagli ospedali, fuori dal lavoro di ognuno, non ci sarà tempo per la cura dell’anima, unica cura di cui nel produttivismo competitivo in cui siamo immersi ci stiamo dimenticando. Quando dico che non abbiamo più tempo per la cura dell’anima dico che sempre più spesso noto come nemmeno l’incontro con le persone che fanno più fatica a vivere riesce ad interrogare alcune persone, perché non ci interessa, ci lascia indifferenti, o peggio, come nel caso di Crotone, ci fa cercare capri espiatori pur di non guardare all’anima che abbiamo perso. L’abbiamo persa se non ci sentiamo responsabili dei morti in mare, se non ci facciamo delle domande sui nostri privilegi, se non ci chiediamo cosa possiamo fare per migliorare la vita almeno del mio vicino di casa che non ha più nessuno che si occupi di lui….