La cultura che vorrei fa rima con welfare

In uno studio rivoluzionario pubblicato a fine 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità parla dell’efficacia delle attività culturali e creative come fattore di promozione del benessere individuale (dalla salute fisica alla soddisfazione per la vita) e della coesione sociale, per favorire l’accesso e lo sviluppo di capitale sociale, individuale e di comunità locale. Sperimentato da almeno 30 anni, soprattutto nei Paesi scandinavi e nel Regno Unito, il Welfare culturale presuppone la collaborazione interdisciplinare e l’integrazione di scopo fra sistemi istituzionali connessi alla salute, alle politiche sociali, alla cultura e creatività. In Italia il ricorso a pratiche di questo tipo è numeroso e in via di consolidamento negli ultimi due decenni.

Questo tema si ritrova anche nella Nuova Agenda Europea della Cultura 2030 (maggio 2018) che indica come pilastri delle prossime decadi i crossover culturali, ovvero le relazioni sistemiche e sistematiche con altri ambiti di policy, un tempo debolmente interconnessi, in primis quello tra cultura e benessere. Ma perché il Welfare culturale si innesti nella quotidianità del Paese, diventando leva sociale ed economica, occorre superare la frammentarietà degli interventi e puntare ad azioni di sistema.


Ci sono esempi molto interessanti di alleanza tra il settore culturale e creativo e il mondo della cura, della salute e del benessere, come ad esempio:

-       la progettazione di servizi culturali di carattere fortemente innovativo, a impatto sociale, che liberano la ricerca artistica da supplenze politiche sociali o sanitarie

-       la creazione su basi scientifiche di nuove risposte a bisogni specifici di salute, benessere, inclusione ed empowerment di segmenti di popolazione: le persone con Parkinson o con demenza, i bambini in riabilitazione e i loro carer.

Pensati e realizzati su scala locale, grazie alla collaborazione con il mondo della ricerca e alla partecipazione a reti internazionali, oltre che a progetti europei, questa visione è già orientata ad espandersi su scale più ampie. Attraverso questo approccio, arte e cultura, contribuiscono al benessere delle persone e delle comunità, con una visione della salute che punta a massimizzare i fattori dello stare bene (salutogenesi).

 

Danzare al museo per il Parkinson


Questo è quello che accade dal 2013 a Bassano del Grappa, città che lega il suo nome alla danza contemporanea. Qui, le persone che vivono con il morbo di Parkinson si incontrano nelle sale del Museo Civico per danzare insieme tra i capolavori di Canova, Dal Ponte e Hayez. È Dance Well – movement research for Parkinson, una pratica artistica inclusiva, rivolta principalmente a loro, attivata, ideata e promossa dal Centro per la Scena Contemporanea Casa della Danza. Questa pratica ha origine in una sperimentazione condotta con successo da quasi venti anni negli USA e nei Paesi Bassi. Il fine di Dance Well, gratuito e aperto a tutti, accessibile a ipovedenti e non vedenti, è “l’arte attraverso l’espressione del proprio corpo. I partecipanti sono “dancers” e proprio come danzatori – non come “persone col Parkinson” – affrontano le classi di danza”. Il luogo di azione, il Museo Civico, costituisce parte integrante dell’esperienza, che prevede anche l’incontro con i visitatori delle collezioni.

Il percorso, in primo luogo artistico, dialoga con diverse strutture sanitarie, applicando varie strategie riabilitative, non ancora sostitutive della fisioterapia tradizionale, ma con effetti positivi sui sintomi e sulla qualità di vita delle persone con Parkinson. Il senso dell’equilibrio e del movimento migliora, si coltiva la creatività e si esplorano nuove forme di espressione. Si sviluppano relazioni interpersonali e si contrasta l’isolamento che spesso accompagna la malattia.

 

L’arte nei luoghi della cura

 

Oltre ai progetti che aprono i luoghi e le risorse del patrimonio, delle arti visive o delle arti performative ad attività finalizzate alla cura, alla riabilitazione, al sostegno e

all’empowerment, molti altri progetti portano l’arte e la cultura nei luoghi della cura come le corsie di ospedale, gli ambulatori e gli hospice. E anche se ancora in modo frammentato, pulviscolare, confinate nel mosaico delle buone pratiche, queste esperienze stanno definendo un nuovo campo. Anticipano una dimensione nuova della nozione di welfare che oggi si tende a definire welfare culturale (incluso nel dizionario Treccani della cultura), che integra dimensioni sociali e di salute.

La relazione tra partecipazione culturale e benessere è riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità con un recentissimo studio, il più ampio mai realizzato, sull’efficacia di alcune specifiche attività culturali, artistiche e creative, come fattore di promozione della salute in ottica biopsicosociale, benessere individuale e soddisfazione per la vita. Obiettivi fondamentali sono il miglioramento degli aspetti relazionali, il potenziamento delle risorse (empowerment) e della capacità di apprendimento, il contrasto alle disuguaglianze in termini di salute e coesione sociale per favorire l’accesso e lo sviluppo di capitale sociale, individuale e di comunità. E a questi si aggiungono l’invecchiamento attivo, il contrasto alla depressione e al decadimento psicofisico derivante dall’abbandono e dall’isolamento, l’inclusione delle persone con disabilità anche gravi e in condizioni di marginalizzazione o svantaggio, anche estrema (senza fissa dimora, detenuti, ecc.), il potenziamento complementare di percorsi terapeutici tradizionali, il supporto alla relazione medico-paziente attraverso le medical humanities e la trasformazione fisica dei luoghi di cura, il supporto alla relazione di cura, anche e soprattutto per i carer non professionali e la mitigazione e rallentamento  per alcune condizioni degenerative (come demenze e il morbo di Parkinson).

Tra le tante strade attraverso le quali il mondo della cultura e della creatività concorre allo sviluppo sostenibile del nostro Paese, io penso che questa meriti una particolare attenzione e rappresenti un salto di qualità nella percezione del suo impatto sociale e della sua rilevanza politica, soprattutto in un momento in cui le economie, colpite dalla pandemia, sono chiamate non solo a ricostruirsi, ma a riconvertirsi. Per non parlare della sua rilevanza economica, sia in termini di potenziale riduzione dei costi della salute per la spesa pubblica che per il benessere generato nella popolazione coinvolta, sia in termini di sviluppo di nuovi servizi e professioni.

Durante il lockdown pandemico è cresciuta la consapevolezza del ruolo dell’arte per lo sviluppo umano, anche da parte degli addetti ai lavori più “scettici”. Anche se a volte in modo rudimentale e ingenuo, infatti, le persone hanno cercato nella cultura un sollievo alla paura, al disorientamento, alla distanza dagli altri, al lutto, all’angoscia per il futuro. E sicuramente la cultura potrà fare ancora molto per alleviare i disturbi da stress post-traumatico che sono oggetto di analisi da parte degli specialisti.

 

In welfare culturale per invecchiare bene

In un Paese come il nostro, dove più di 13,5 milioni di persone hanno più di 65 anni e dove, non solo due terzi dei carer sono familiari anziani (in maggioranza donne), ma anche dove la riduzione delle dimensioni delle famiglie condanna i vecchi, in quote sempre crescenti, alla solitudine, una strategia di welfare culturale può rappresentare un sollievo importante e un supporto efficace alle forme di assistenza basate soprattutto su trasferimenti economici. Grazie alla presenza capillare di presidi culturali come musei e biblioteche che a Udine non mancano, una più diffusa mobilitazione della cultura per il benessere sarebbe anche sostenibile sotto il profilo dei costi.


Il welfare culturale: conclusioni 


Il welfare culturale richiede una conoscenza accurata e aggiornata delle esperienze in atto, metodi di valutazione e validazione riconosciuti e la creazione di una piattaforma aperta, di alto livello, per la ricerca in collaborazione con la comunità scientifica internazionale. Il dialogo strutturato tra i sistemi, culturali e sociosanitario è essenziale, anche per dare vita a interventi coordinati e condivisi sul piano della formazione degli operatori culturali e sanitari. Il salto di scala delle pratiche culturali per la salute, il ridisegno del sistema di welfare e di coesione richiedono uno studio approfondito sulle risorse e sulla sostenibilità, anche economica, ma numerosi sono gli elementi che dimostrano che l’inazione costerebbe di più, in termini sociali e finanziari.

La costruzione di un sistema di welfare culturale è un traguardo ambizioso, ma nello stesso tempo realistico, per il nostro Paese e potremmo cominciare a fare delle sperimentazioni nella nostra città: fare innovazione sociale multi-attoriale, multilivello e intersettoriale avrebbe effetti economici di notevole portata. I presupposti ci sono e sono molto solidi. Qui a Udine abbiamo numerose imprese e le organizzazioni culturali che andrebbero valorizzate ulteriormente, con previsione di una programmazione dedicata tutta da costruire, volta alla valorizzazione delle diversità, delle minoranze, delle disabilità…

 

Fino ad oggi è mancato solo il coraggio politico di amministratori che volessero mettere i ferri in acqua: io so che troverei terreno fertile in moltissime associazioni ed enti culturali che parteciperebbero a una sperimentazione di questo tipo, oltre che associazioni di utenti della salute che saluterebbero con gioia nuove modalità per attivare risorse e curare il benessere delle persone anche in un’ottica di prevenzione.

 

 

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L’importanza del ‘tempo di vita’