Housing sociale e cohousing
Abitare è un diritto. La casa è identità, desiderio, legame affettivo. Non a caso gli inglesi utilizzano due termini per dire “casa”: “house” per indicare la struttura fisica e “home” per richiamare alla mente i ricordi legati ad essa, i legami, gli affetti. Ogni casa è diversa, poiché è espressione della propria personalità, ma non tutti sanno che esistono due modalità dell’abitare che ad oggi non sono ancora molto conosciute essendo delle forme di abitazione sperimentali: parliamo di #socialhousing e di #cohousing. Si tratta di strumenti che potrebbero diventare un valido aiuto alla gestione e riqualificazione delle periferie in cui si trovano insediamenti di edilizia residenziale pubblica, ma non solo.
L’housing sociale si riferisce ad abitazioni sostenibili a costi calmierati e che soddisfano bisogni di categorie svantaggiate come studenti, giovani all’inizio della propria carriera lavorativa, giovani coppie, nuclei familiari a basso reddito, anziani, studenti fuorisede e nuovi lavoratori.
La novità è che non si tratta di case popolari ma di case che possono essere costruite oppure ottenute riqualificando degli edifici. La missione è quella di garantire l’accesso agli alloggi a tutte le categorie sociali.
Questa modalità abitativa risolverebbe i problemi di quella fascia sociale (cosiddetta “fascia grigia”) che non è in grado di trovare una casa principalmente per ragioni economiche ma che allo stesso tempo è priva delle caratteristiche per accedere agli alloggi popolari. I requisiti per accedere ad un appartamento in social housing dipendono strettamente dall’Isee della singola persona o dell’unità famigliare. Il reddito in questione non deve essere troppo basso o nullo, ma anche non abbastanza alto da permettere l'affitto di immobili a prezzo di mercato. Anche se entrambi, dunque, hanno un notevole impatto sociale in senso positivo, il social housing si rivolge solo ed esclusivamente ad alcune categorie ben determinate (nuclei familiari con basso reddito, persone anziane in condizioni economiche svantaggiate, giovani coppie e studenti maggiorenni fuori sede).
Il social housing è regolamentato dal DM Ddel 22 aprile 2008 e poi meglio specificato nei contenuti e nelle potenzialità dal DPCM 16/7/2009 e DPCM 10/7/2012. L’edilizia sociale si fonda principalmente su alloggi costruiti o riqualificati attraverso contributi o finanziamenti pubblici e privati, per essere affittati con canoni di affitto convenzionato che risultano inferiori del 30%-40% rispetto al mercato libero. Anche i prezzi di vendita sono contenuti e mediamente più bassi, anche del 35%.
Il cohousing significa invece “abitare insieme” e consiste nel condividere con delle persone (che vengono selezionate preventivamente dal Terzo Settore che ne viene incaricato) solo alcuni spazi della casa come la cucina, la zona lavanderia, il salotto, ma non le camere da letto. Questa modalità nasce dall’esigenza di vivere in comunità e dal desiderio di condivisione come antidoto alla solitudine. È inoltre comodo per chi ha dei figli, che potrebbero essere supervisionati da adulti, e per gli anziani soli. Le regole sono quelle del buon vicinato e si basano sull’aiuto reciproco, riducendo anche i costi delle attività quotidiane e della complessità della vita. È ovvio che bisogna prima di tutto fare un’analisi del contesto in cui si vive ma si tratta di validi strumenti di riqualificazione, soprattutto delle periferie.
La Pubblica Amministrazione dovrebbe porre particolare attenzione al cohousing poiché crea forme di mutuo sostegno e svolge attività utili alla collettività in senso ampio, offrendo occasioni di lavoro, sviluppo e servizi alla collettività.
I cohousers, inoltre, oltre alla condivisione degli spazi comuni, sono chiamati a svolgere a turno servizi utili alla comunità costituita: dall’occuparsi dei bambini e degli animali domestici alla spesa settimanale, dalla cura del verde alla manutenzione ordinaria degli edifici. Da qui l’idea, rivolta sia alle periferie della nostra città sia al centro storico con una presenza sempre maggiore di anziani soli, di attivare esperienze di cohousing utili sia alla popolazione universitaria a trovare alloggio con meno spesa, sia alla popolazione anziana ad avere la possibilità nella propria quotidianità di avere un giovane che gli fa la spesa, che fa un accompagnamento dal medico o anche solo un pasto in compagnia. Altro target interessante ai fini dell’integrazione e della solidarietà reciproca è quello dei giovani neomaggiorenni migranti, ex Minori Stranieri non Accompagnati che fanno fatica a trovare chi gli offre una casa anche se hanno un lavoro e che in progettualità come queste potrebbero trovare senso e autonomia, perché nella dinamica con altri beneficiari (anziani, studenti universitari) potrebbero dare il loro contributo. Sono giovani lavoratori pieni di umanità che saprebbero offrire i loro servigi al pari dei ragazzi universitari.