Il Diritto alla città e le alleanze
Stiamo cedendo verde al cemento a tutto svantaggio non solo della valorizzazione degli spazi verdi privati e pubblici, ma anche e soprattutto degli spazi di aggregazione libera, di cui abbiamo sempre più bisogno per riattivare la partecipazione delle persone alla vita sociale. Perché la città in questi anni ha assistito alla costruzione di molteplici centri commerciali, a detrimento degli spazi verdi e noi proponiamo di fare investimenti nella ristrutturazione di luoghi della città che valorizzino la libera aggregazione, la messa a disposizione di luoghi come beni comuni. L’uso di spazi liberi, a uso delle associazioni o dei singoli portano alla rinascita della città, perché le idee migliori, sociali, culturali e perché no anche imprenditoriali, nascono se le persone si incontrano e scambiano saperi.
“Diritto alla città” significa diritto all’aggregazione, alla presenza totale in ogni punto della città, in ogni circuito di comunicazione, di informazione e di scambio. Non esiste nessuna realtà urbana senza un luogo di concentrazione di tutto ciò che può nascere e prodursi nello spazio, senza un luogo di incontro attuale o possibile di tutti gli ‘oggetti’, di tutti i ‘soggetti'. Quel centro vorrei fosse decentrato e diffuso, non collocato solo in Centro, ma in ogni quartiere, in ogni situazione di potenziale progettualità collettiva da costruire, perché sarà dai bisogni e dai desideri che dovremo ripartire per dare senso e direzione alla città che vogliamo abitare e vivere.
L’esclusione dalla dimensione urbana dei gruppi, di alcune classi sociali, degli individui, di alcune generazioni significa di fatto esclusione dal processo di civilizzazione e addirittura dalla società.
Il “diritto alla città” per me è la lotta contro questa esclusione dalla realtà urbana, dalla centralità, oltre che il segno di una crisi che investe ogni organizzazione che diventa discriminante se non sa includere: i centri decisionali, di informazione, di potere insieme ricacciano le persone nelle periferie della politica, dell’informazione e della ricchezza se non sanno costruire spazi di partecipazione.
Un “diritto alla città” che richiede non tanto una generica conoscenza dello spazio fisico (ci sono tanti conoscitori della storia dei diversi quartieri che pensano di sapere come riattivare la partecipazione, ma non basta), quanto la conoscenza dei processi di produzione degli spazi esistenti e dei processi attivabili per generarne di nuovi, magari intercettando mondi che tra loro non si sono mai parlati, ma che se messi ai tavoli deputati saprebbero dare il meglio di sé per fare della città un laboratorio permanente di idee generative.
Da dirigente di una realtà non profit, ho avuto l’occasione di incontrare il mondo delle imprese profit come formatrice sull’attivazione d’impresa a target migranti o detenuti ed è stata un’esperienza molto generativa. Il lavoro politico della costruzione di alleanze pubblico-privato e il lavoro di ibridazione degli sguardi (per le tante professionalità messe in campo nell’incrocio delle alleanze) attorno ad obiettivi progettuali che mirino alla felicità di tutti, utenti e imprese, amministratori e cittadini, lo faccio di mestiere e credo di poterlo continuare a fare anche se avrò l’onore di fare l’amministratrice della nostra città. Si tratta di un processo win win, in cui il gioco è foriero di risultati positivi per tutte le parti in gioco.