Essere e fare comunità
Essere comunità è un concetto che ho imparato dal femminismo: solo facendoci carico delle vulnerabilità nostre e altrui, comprese quelle del pianeta, sapremo essere soggetto collettivo capace di intercettare i bisogni e quindi capace di offrire risposte concrete ai bisogni di tutti e di tutte, attraverso il paradigma della cura (leggete il Manifesto “La cura della città”!). Per essere e sentirsi comunità ho imparato che è necessario:
1) tenere insieme riconoscimento e questioni sociali, giustizia sociale e giustizia ambientale
2) partire da noi stesse/i per costruire una nuova umanità, che si tiene per mano rispettando le differenze e scambiandosi i doni delle proprie diversità linguistiche, culturali ed esistenziali
3) disarmare la ragione, come ci ha insegnato Pannikar, nel senso di disarmarsi culturalmente dal patriarcato, che è la cifra che spesso ci impedisce di essere noi stesse (anche noi donne) fino in fondo, cominciando per esempio dall’abbandonare la paura, che rende sterile la vita, e dall’abbandonare quindi l’ossessione della sicurezza, che chiude il varco delle novità e la bellezza dell’esserci e dell’incontro con l’altro
Fare comunità è invece un insegnamento che viene dall’ibridazione, che io rappresento, tra un pensiero cattolico che fece dell’opzione preferenziale per i poveri la cifra di un impegno legato alla teologia della liberazione - con cui io sono cresciuta e di cui mi sono nutrita in tutta la mia giovinezza - e di un pensiero di sinistra, che del bene comune, del mettere in comune, della redistribuzione, ha fatto sempre la sua utopia concreta.
All’incrocio di questa tripla ibridazione (cattolicesimo sociale, sinistra diffusa e femminismo) provo a sintetizzare 3 priorità e poi 3 idee concrete che voglio condividere, sia per la nostra città che per la nostra Regione, per dare piena attuazione a quel cambiamento di paradigma che con questa serata cerchiamo di configurare per il bene di tutti e di tutte e del nostro pianeta.
La 1^ priorità: è necessario che sia attuata la piena trasformazione del modo di pensare di quanti a vario titolo vi partecipano. Mi riferisco alla sempre più lucida scelta di aderire all’etica del bene comune, quella che coniuga la dignità di ogni persona, quella di tutta l’umanità e quella della natura. Questo è il nucleo vitale del pensiero democratico, ossia della cultura che guarda alla democrazia non solo come sistema di governo, ma più radicalmente come forma dell’ordinamento politico di una società comunitaria aperta. È la società dove nessuno è straniero, dove non il potere e la violenza, ma l’accoglienza e la corresponsabilità sono la norma.
La 2^ priorità è quella di lavorare affinché le diverse sperimentazioni di quartiere, di territorio, di cooperativa, di rete di associazioni, di circoli possano divenire un vero e proprio movimento etico, sociale e politico di radicamento popolare. Se una rete resta solo una rete e non genera un movimento che sia radicato - nelle città, sui territori, nei luoghi essenziali della vita quotidiana (famiglie, scuole, comuni, aziende, associazioni) -, allora diventa autoreferenziale. Per raggiungere questo obiettivo occorre adottare modalità comunitarie di presenza, di incontro, di azione. La sfida che contribuirò a vincere in questa città va in questa direzione. Il bilancio partecipativo a gestione comunale era stato un primo tentativo e forse dopo 15 anni dall’approvazione di quel regolamento sono maturi i tempi per riprendere le fila di quel progetto?
Ma voglio essere chiara. Poiché “comunità” è divenuta una parola magica, calda e rassicurante, va chiarito che occorre scegliere tra due tipi di comunità: una è la comunità capsulare, l’altra è la comunità democratica.
La prima è la comunità-rifugio, dove si ritrovano solo quelli che la pensano allo stesso modo. È una setta, un guscio protettivo che gratifica psicologicamente ma che si traduce in un ripiegamento mortale.
L’altra è la comunità aperta, che si caratterizza per la pratica della solidarietà, per lo spirito di ospitalità verso chiunque, per la scelta di essere responsabili insieme verso la società intera. A noi serve dare vita a questo secondo tipo di nuclei comunitari, ricordando che “comunità” è più un modo d’essere e di agire che un luogo circoscritto. Da arcipelago di realtà più o meno isolate bisogna passare a essere un tessuto di comunità civili aperte che giungono a convergere in un movimento ampio, popolare, plurale ma indivisibile e coeso.
La 3^priorità è quella di dare forma politica alla nostra azione. È sbagliata l’idea che la “politica” sia solo quella di istituzioni come il governo, il parlamento e i partiti, o peggio quella dei “politici” di mestiere. Quella delle istituzioni, benché importante, è la politica seconda. La prima politica è quella dei cittadini organizzati, che in ogni comunità civile territoriale si impegnano per attuare la cura del bene comune e dei beni comuni. In questo senso i soggetti dell’altra economia sono a pieno titolo soggetti politici. Riconoscere tale potenziale democratico significa, concretamente, smettere di interessarci solo di economia e renderci disponibili all’alleanza con tutti i movimenti (intendo i movimenti femministi, per i diritti civili, per l’accoglienza dei migranti, per la tutela della natura, per una scuola vera e che sia una priorità, contro le mafie e così via).
Insieme a noi queste sono le forze sociali più creative, che cercano un modo differente di tessere la convivenza sociale. È urgente incontrarsi con loro, creando occasioni e percorsi di collaborazione sul filo conduttore di un progetto di società, che crei comunità educanti.
Assumere queste tre priorità non significa chiedere di fare cose in più, significa fare meglio quello che già stiamo facendo, con l’umiltà anche di un partito che ha evidentemente perso il contatto con la sua base e la sfida che queste primarie ci consegnano è proprio quella di ritessere con la base, pena la perdita di ulteriore consenso.
Dal momento che io rappresento in provincia di Udine la mozione di Elly Schlein alle primarie di domenica 26, voglio descrivervi il mio impegno condividendo 3 idee concrete che fanno la cifra del mio impegno politico di questi anni e su cui spero potremo confrontarci operativamente con me in un’altra veste, se avrò l’onore di essere eletta ancora una volta (la prima appunto 15 anni fa) in Consiglio Comunale.
Parto dalla definizione dell’OMS, in voga dal 2020, che parla della salute come “capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive.”
1) la prima idea concretizzabile è lavorare sulle condizioni esterne, senza le quali non si possono sviluppare le capacità (Amartya Sen) delle persone, quindi le risorse interne di ognuno. Da qui l’accento sullo spostamento dai luoghi di cura alla cura dei luoghi, quindi dei quartieri, dei borghi, degli spazi e dei tempi dell’abitare e dello spostarsi. Prendersi cura dei luoghi significa prendersi cura dei mondi di vita delle persone affinché queste possano viverci nel migliore dei modi possibili:
- riattivare, riparare, rigenerare, riprodurre la vita, a cominciare dal recupero di aree dimesse e di aree abbandonate, passando per la riqualificazione delle biblioteche o di spazi per costruire saperi condivisi, nel riutilizzo e nel riuso oppure nella costruzione di biblioteche degli oggetti, condividendo strumenti e oggetti di uso non quotidiano che possano essere presi in prestito e riconsegnati o ancora con progetti di rigenerazione urbana o di valorizzazione delle rogge o del canale Ledra…
- non si fa da soli, ma in alleanza con chi conosce i territori, in processi partecipativi da costruire ma da facilitare e governare senza fare campagna elettorale permanente facendo contenti questi o quei circoli, queste o quelle associazioni
- la cultura è fonte di benessere per chi ci vive e per chi ci passa o ci viene apposta, magari perchè si riesce a fare delle proposte culturali diffuse, che non facciano delle periferie dei luoghi di serie b, ma delle cellule vitali e fondamentali per la vita di tutta la città, anche ai fini di attrazione turistica
- un piano affitti adeguato ai bisogni, per garantire un alloggio a tutti
- l’abitare come modo per coinvolgere gli abitanti, i destinatari, attraverso la sperimentazione di progetti di co-housing e il social housing in cui l’alleanza con il Terzo Settore faccia della nostra città un laboratorio interculturale e sociale: esempio degli universitari che convivono con stranieri o disabili o utenti dei CSM in molte città italiane grazie a progettazioni ad hoc con il Terzo Settore che il pubblico (Comune, ATER, Regione) può avviare e sostenere
- la scuola e le scuole come punti nevralgici di cura delle relazioni, della qualità dell’artefatto, del verde, della riqualificazione della viabilità – essere comunità educanti è un progetto che ha bisogno di volontà politica
2) la seconda idea concretizzabile è la strategia di integrazione socio-sanitaria, che deve ripartire da un protagonismo del Comune di Udine sia all’interno dell’Assemblea dei Sindaci dell’Ambito socio-assistenziale sia della Conferenza dei Sindaci del Distretto. Come Comune di Udine abbiamo davanti la sfida di un’integrazione socio-sanitaria inesistente a livello regionale ma zoppicante soprattutto a livello comunale (piano di Zona fermo al 2015, deleghe dell’Ambito ridotte a favore di Servizi Sociali comunali senza regia seria, dialogo inesistente con l’Azienda Sanitaria per un disegno complessivo...) e abbiamo davanti contemporaneamente la sfida della creazione di una Casa della salute, che il PNRR ci ha affidato come amministrazione sia regionale sia locale. Vogliamo che l’orientamento sia volto a rendere partecipi le persone "sane" al mantenimento del proprio stato di salute e le persone "malate" a partecipare alla loro cura per migliorare o ritardare l'evoluzione della patologia, attraverso azioni culturali, educative, sociali, alimentari, di prevenzione, riabilitazione e cura. Per farlo, dobbiamo ispirarci al Manifesto per una autentica casa della salute prodotto da un gruppo interregionale di associazioni dell’Emilia Romagna che si è trovato a discutere di come costruire il percorso poi attivato delle case della salute :
La salute è un diritto umano fondamentale ed è un bene comune essenziale per lo sviluppo sociale ed economico della comunità.
La salute è creata e vissuta negli ambienti dove le persone vivono tutti i giorni: dove imparano, lavorano, giocano ed amano (OMS 1986) e quindi va superata l’accezione meramente sanitaria del significato di salute
La salute è un bene da perseguire come comunità, in tutte le sue articolazioni di benessere fisico, psichico, affettivo, relazionale, spirituale. Deriva da un mandato costituzionale e implica l’inclusione sociale, giustizia ed equità, il rispetto di sé e della dignità di ogni persona, l’accesso ai diritti di base come l’istruzione, il lavoro, la casa, la partecipazione.
La salute non è una merce alla stregua di ogni altro oggetto, prodotto e offerto da un mercato nel quale le persone, espropriate di saperi fondamentali, diventano consumatori passivi di prestazioni che le singole istituzioni producono.
Il miglioramento della salute e del benessere costituisce il fine ultimo delle scelte di sviluppo economico e sociale di una comunità e coincide con l’idea autentica di welfare. Occorre quindi un programma di governo - nelle diverse articolazioni, nazionale, regionale e locale - che abbia come “filo rosso” di tutte le politiche la salute delle persone e delle comunità.
La comunità è il luogo naturale della cultura e della produzione di salute, a partire dalle risorse e dai saperi in essa presenti: un capitale sociale che va valorizzato e sostenuto per contribuire al superamento delle diseguaglianze e per produrre innovazione e benessere. Le Istituzioni sociali (scuola, presidi sanitari e assistenziali, organismi enti e associazioni culturali e di gestione del territorio, imprese, organi della giustizia) devono configurarsi quali componenti di un disegno unitario e interconnesso nella direzione della salute intesa come bene comune
Proponiamo la costruzione di un “Patto sociale per la salute” quale strumento che - partendo da una adeguata conoscenza della comunità, delle sue risorse e dei suoi problemi (bisogna fare scientificamente analisi di fabbisogno, monitoraggio e valutazione dei bisogni della popolazione prima di costruire programmazione e progettazione) - promuove cittadinanza e rafforza il nesso tra comunità, servizi e istituzioni, contro ogni logica settoriale e prestazionale.
La casa della salute si propone perciò come luogo in cui:
- si realizza una nuova identità comunitaria nel segno di un welfare efficace e partecipato;
- prendono corpo i diritti di cittadinanza, quelli riconosciuti e quelli negati;
- i cittadini esprimono, attraverso la partecipazione, la consapevolezza dei doveri di solidarietà;
- le risorse del territorio, comprese quelle istituzionali, si integrano nella costruzione e nel sostegno di azioni condivise per la salute;
- le persone si sentono accolte, soprattutto le più deboli, riconoscendo il valore delle differenze.
La casa della salute, così intesa, potrà operare avendo il bene comune come primario riferimento della propria azione, partendo dai diritti dei più vulnerabili senza distinzioni di etnia, censo, genere, livello di istruzione
3) la 3^ e ultima ma non per ultima idea concretizzabile è la necessità di cambiare la narrazione mainstream sul fenomeno migratorio, come fenomeno che anche nel partito che qui rappresento a volte viene derubricata come “crisi migratoria”. Ecco, dobbiamo cambiare paradigma e cercare di dirci che non si tratta di crisi migratoria, ma di crisi demografica laddove si parla di fenomeno strutturale e di gestione quindi occuparsene significa occuparsi del cambiamento sociale, non di gestione di crisi episodiche e quindi dobbiamo cominciare a dirci che:
- non solo bisogna offrire servizi e qualità nei percorsi di accoglienza e integrazione, evitando situazioni concentrazionarie come quella di Caserma Cavarzerani e costruendo percorsi di accoglienza diffusa che costruiscano comunità nei luoghi dell’abitare, con personale professionalmente competente senza lasciare solo un Terzo Settore in affanno e senza regia
- ma che questi percorsi non sono fondamentali solo per poterci dire democratici e rispettosi dei diritti umani, ma lo sono anche e soprattutto perché ne abbiamo bisogno vista la crisi demografica. Mi ha fatto molto piacere sentire rappresentanti di Confindustria la scorsa settimana fare delle dichiarazioni importanti in questo senso. Non si tratta di risorse umane pronte per essere sfruttate, ma di risorse umane che dobbiamo rendere competitive per un mercato del lavoro che necessita di loro, ma insegniamo loro l’italiano (Udine non ha nemmeno una sede per il CPIA!) e costruiamo insieme a loro condizioni dell’abitare e del vivere e del convivere degne di questo nome, per dare dignità e riconoscimento di valore, se vogliamo sicurezza!